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Migrazioni, razzismo e forza lavoro

Migrazioni, razzismo e forza lavoro a basso costo e ricattabile

Da almeno dieci anni l’Europa ufficiale, degli stati, dei governi, dei mass media presenta l’immigrazione come un problema essenzialmente di ordine pubblico, da affidare sempre più alle polizie, alle marine militari, alle carceri, ai centri di detenzione. Ed è così che la massa degli immigrati, composta nella sua quasi totalità di lavoratori, forzati all’emigrazione dalla devastazione di crescenti aree del Sud del mondo, viene criminalizzata come un pericolo da cui proteggersi con ogni mezzo.
Immigrazione zero!, si tuona da più parti; o almeno, immigrazione rigorosamente contingentata.

Nei fatti, però, per reggere all’asprissima competizione sui mercati mondializzati, i capitalismi europei hanno un bisogno inesauribile di manodopera a basso costo ultra-ricattabile, da mettere in concorrenza con i lavoratori autoctoni. E nessuna forza-lavoro quanto quella immigrata risponde, forzatamente, a tali caratteristiche. Non è difficile, perciò, scorgere, sotto la cortina fumogena dell'”immigrazione zero”, la dura realtà di un’immigrazione “a zero diritti”, di donne e uomini “di colore” costretti alla “clandestinità” e ad un’indefinita precarietà lavorativa ed esistenziale.
Supersfruttamento, discriminazione, razzismo verso i lavoratori immigrati non sono, per l’Europa, novità di questi ultimi anni. Si tratta, anzi, di una lunga tradizione, sostanzialmente unitaria al di là delle sue forme contingenti e delle differenti ideologie di copertura, che attraversa (e, piaccia o meno, collega) il liberalismo classico, il nazi-fascismo e le democrazie, il vecchio e il nuovo colonialismo.

In realtà la migrazione è un movimento di persone da un luogo a un altro, fatto con l’intenzione di stabilirsi in un posto temporaneamente o permanentemente. Le comunità umane, fin dall’alba dei tempi hanno sempre migrato, quindi non c’è nulla di straordinario.
La cosa che infastidisce le persone, sfociando sempre più spesso in episodi di razzismo e discriminazione nei confronti dei migranti, è la scarsa conoscenza di culture, abitudini e usanze diverse dalle nostre.
Una larga parte delle persone che tentano di raggiungere l’Europa, lasciano i Paesi d’origine per vari motivi: sono in fuga da guerre e persecuzioni, dalla povertà, cercano un lavoro, cercano di migliorare le proprie condizioni di vita. Molti arrivano dagli stati dell’Africa centrale, attraversano il deserto del Sahara in condizioni molto difficili e, se ce la fanno a resistere, giungono in Libia, sulle coste del Mediterraneo. Qui accade qualcosa di terribile: i migranti vengono catturati da bande di criminali armati e rinchiusi in prigione, dove vengono torturati e subiscono ogni genere di violenza. I criminali mettono queste persone in contatto con le famiglie per chiedere grossi riscatti, ma spesso i parenti sono poveri e queste persone muoiono nelle carceri libiche.
Tutto ciò suscita tragici ricordi: nel 2018, alle porte d’Europa, sembra di essere tornati all’orrore delle dittature e dei campi di concentramento.
Quelli che riescono a riscattarsi o a fuggire pagano altre enormi somme di denaro per raggiungere la costa e imbarcarsi su mezzi di fortuna: gommoni o vecchi barconi spesso troppo carichi per poter reggere la traversata. Molti sono i naufragi, negli ultimi cinque anni sono morte oltre 17000 persone nel Mediterraneo, di più della metà di loro non si conosce neanche il nome.
A causa degli accordi politici tra alcuni paesi europei e la Libia, molte imbarcazioni vengono soccorse dalla Guardia Costiera libica e i migranti sono riportati indietro, dove vengono nuovamente rinchiusi in prigione e subiscono indicibili violenze pur non avendo commesso alcun reato.
Solo pochi barconi vengono soccorsi dalle autorità europee e riescono a raggiungere il vecchio continente, dove sono costretti a iniziare trafile burocratiche spesso tortuose e impossibili. Le misere condizioni in cui queste persone sono costrette li pone ai margini della società e ormai in molti paesi d’Europa e del mondo i politici, pur di accaparrarsi voti e potere, fomentano la paura del diverso e sentimenti razzisti in larga parte della popolazione che non è informata sulla verità dei fatti. In realtà la diversità e un valore prezioso e l’incontro arricchisce tutti: se fossimo tutti uguali non ci sarebbe confronto e non potremmo conoscere molte culture.
Ieri come oggi, queste vittime non muoiono solo per le violenze subite, ma anche e soprattutto per l’indifferenza di chi sa e non parla, di chi pensa al proprio benessere e non gli importa nulla delle sofferenze altrui.
Dobbiamo e possiamo fare qualcosa, non possiamo restare muti a guardare questo dramma, perché se accade è perché il silenzio lo concede. Non dobbiamo tacere, ci dobbiamo informare e divulgare le notizie, conoscere le ingiustizie e denunciarle, e infine aiutarli con i nostri programmi di solidarietà.

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Vedi anche: Donne e migrazioni